Pedro Manfredinie
Francisco Lo Jacono
I maestri del gol
Entrambi argentini. L'uno triste e l'altro estroverso. Il primo aveva uno
straordinario senso del gol, il secondo un tiro micidiale. Con le loro prestazioni
condussero la Roma a grandi e prestigiosi traguardi
Era
anche arrivato, come abbiamo visto, Pedro Manfredini; il più inquietante
di tutti di quei personaggi della Prima Fiera Universale del Calcio 1960, quale
sembrava la Roma. Manfredini era un campione ed era -è- un gentiluomo.
Era spesso triste, un po' confuso, come tra volto dagli eventi, ma al calcio
dedicava la vita. Inquietante, perchè suscitava sfrenati entusiasmi da
una parte e arroventate avveversioni dall'altra. Nessun altro ha più
di viso, come lui, la tifoseria; e nessun altro ha provocato tante contraddizioni
nelle schiere dei critici, che non sapevano più che pesci pigliare. Una
volta la Roma pareggiò a Napoli (20 gennaio 1963) una sfrenata partita:
3-3. Manfredini realizzò tutte e tre le reti giallorosse; non gli era
nuova, quest'impresa: Pedro avrebbe spesso segnato tre reti in una volta. Un
giornale romano titolò, letteralmente: «La Roma non ha vinto per
colpa di Manfredini». Per fadi contenti, avrebbe dovuto facne sei, o nove,
o dodici.
TI bello è proprio questo: che tre gol, o sei o nove o dodici, Manfredini
sembrava che dovesse segnadi sempre. E poi, non ne faceva talvolta neppure uno.
Può nascere a questo punto l'idea di un giocatore complicatissimo, indecifrabile,
sfuggente. Neanche per sogno: la personalità tecnica di Pedro era di
facile interpretazione. Era velocissimo, e questa è la chiave del discorso.
Faceva tutto in modo concitato, ed è facile perdere, in queste condizioni,
la coordinazione neces
saria per l'esecuzione.
Lui diceva: «Il guaio è che sono troppo rapido»: sembrava
una battuta ed era vero. Possedeva uno straordinario senso del gol, era sempre
in agguato al posto giusto. Ecco perchè gli capitavano tantissime occasioni.
Però aveva un rozzo controllo della palla, e mancava spesso il tocco
finale.
Un altro pianeta
Un personaggio singolare, senza dubbio. Lo chiamavano «Piedone»
perchè al suo arrivo un fotografo lo aveva ripreso dal basso, mentre
Pedro scendeva la scaletta e
sembrava poggiare su due zattere. Lui racconta che in Argentina cantavano «Dolores,
dolores/ ahi! viene Manfredinil con los platos voladores...».Viene da
un altro pia neta, con i dischi volanti. «Loro invece venivano a vedermi
in bicicletta, coprendo distanze enormi su strade stroncagambe; oppure a cavallo;
i più fortunati con il carro...». Luis Carniglia, l'allenatore
che lo teneva in grande antipatia, borbottava: «Gli altri giocano e lui
segna». Credeva di dire una cosa importante e spiritosa, e naufragava
invece nell'ovvietà: i rapinatori da area di rigore, quale Manfredini
era, così fanno. Tanto è vero che in Argentina lo chiamavano Minerai
proprio per questo. Minerai era stato un cavallo famoso per essere un brocco
e per avere vinto, inatteso, un derby. In una finale del Campionato Panamericano,
l'Argentina prevalse per 2-0 sul Brasile: Manfredini segnò entrambi i
gol e per il resto non beccò palla: MineraI. Con questi personaggi, con
«Ragno» Cudicini in porta, uno spilungone di grandi qualità
tecniche e soprattutto umane; con un poderoso atleta come Francisco Lojacono,
un altro nazionale argentino, tutto sostanza nel fisico e nel gioco; con Dino
Da Costa e Valentin Angelillo, con capitan Losi e con un ragazzone scarno ed
efficace come Orlando, ex monello di Torpignattara, la Roma inaugurò
alla grande gli anni '60, conquistando quello che resta tuttora il suo unico
trofeo internazionale: la Coppa delle Fiere.
La finale fu disputata contro il Birmingham, fermato sul pareggio in Inghilterra
e battuto nettamente all'Olimpico. La Roma conquistava anche la prima Coppa
Italia, nel 1964, andando a vincere sul campo del Torino: nasceva in quel momento
un grande amore, una autentica passione, perchè la Roma di Coppe ne avrebbe
vinte altre sei! Francisco Lojacono era un altro corposo personaggio. Metteva
uno straordinario vigore atletico al servizio di una ricca tecnica, possedeva
un tiro micidiale e batteva calci di punizione che facevano venire i brividi
ai portieri. Aveva un carattere estroverso e una inestinguibile vocazione amorosa,
e per assecondarla si sottraeva spesso alle quotidiane regole di comportamento
dettate dalla professione.
Il suo fondamentale argomento dialettico era questo: «Mi avete mai visto
fuori allenamento?». E in verità possedeva tante energie fisiche
da potersi mantenere sempre in forma.
Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport
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